Fotovoltaico a terra e consumo del suolo, cosa ci dicono i dati

Il fotovoltaico a terra ha fatto registrare un uso meno intensivo di suolo l’anno scorso in Italia rispetto al 2017, assecondando, almeno in parte, la direzione impressa dall’Unione Europea, che auspica un consistente contenimento del consumo di suolo, per raggiungere l’obiettivo di un suo azzeramento entro il 2050.

È quanto emerge dall’edizione 2019 del “Rapporto su consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici,” che l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) e il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) hanno da poco pubblicato.

I dati del SNPA relativi al 2017 e 2018 registrano 56 nuove installazioni nel 2017, su oltre 92 ettari di suolo, e 15 nel 2018, su quasi 47 ettari, con una potenza installata stimata in circa 49 e 26 MW, rispettivamente. La quasi totalità della potenza installata nell’ultimo anno è concentrata in un unico impianto realizzato presso il polo industriale di Assemini, vicino Cagliari.

Secondo i dati del Gestore dei Servizi Energetici (GSE) ripresi da ISPRA e filtrati considerando solo gli impianti superiori a 200 kWp, invece, gli impianti a terra installati nel 2017 sono stati 129, mentre quelli installati l’anno scorso sono ammontati a 146, per una potenza installata, rispettivamente, di circa 116 e 95 MW.

Le differenze tra questi valori e quelli rilevati dal monitoraggio SNPA sono attribuibili alla presenza nei dati del GSE di impianti installati anche su coperture di edifici o strutture industriali, commerciali o agricole, già inclusi quindi nei dati SNPA all’interno di altre classi di suolo consumato e non nella classe di impianti fotovoltaici a terra.

Secondo il rapporto, però, sebbene i dati mostrino “una positiva tendenza dell’ultimo anno a concentrare su strutture esistenti le nuove installazioni, (si) evidenzia ancora la significatività del consumo di suolo dovuto alle installazioni a terra.”

La questione del consumo di suolo da parte del fotovoltaico è una questione annosa che spesso riemerge nel dibattito su come e dove meglio impostare lo sviluppo delle rinnovabili richiesto dagli obiettivi della decarbonizzazione.

Secondo i dati e le stime presentati tempo fa in un convegno da Fabrizio Bonemazzi di Enel Green Power e all’epoca vicepresidente del Gruppo Imprese Fotovoltaiche Italiane (GIFI), le installazioni fotovoltaiche a terra, anche su terreni agricoli, non sembrano in realtà avere inciso in maniera significativa sull’occupazione di territorio.

Prendiamo infatti in considerazione il dato aggiornato al 2018 dell’intera capacità fotovoltaica installata in Italia, pari a poco più di 20 GW, rivelatosi inferiore all’obiettivo di 23 GW al 2016 che il quarto Conto Energia aveva prefigurato. E ammettiamo, solo ai fini di un calcolo ipotetico, che tale potenza FV fosse installata solo ed esclusivamente a terra e solo su superfici agricole.

Anche in tale ipotesi estrema, l’occupazione teorica di terreni agricoli sarebbe grosso modo inferiore a 0,05 milioni di ettari, pari a meno dello 0,4% del totale della superficie agricola utile (SAU) del nostro paese.

Sebbene la riduzione del consumo e della impermeabilizzazione del suolo siano una priorità, sarà difficile perseguire gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030, che prevedono di quasi triplicare le installazioni fotovoltaiche, senza incidere in qualche modo sul suolo del paese.

Ma una buona parte del suolo che nei prossimi anni potrebbe essere dedicato al fotovoltaico non deve necessariamente provocare uno stravolgimento dell’agricoltura o un degrado irreversibile del territorio.

Come accennato in precedenti articoli, secondo il Renewable Energy Report dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano, in base all’ultimo censimento ISTAT del 2010, basterebbe il 10% della sola superficie agricola non utilizzata in Italia per installare oltre 61 GW di FV, cioè oltre il doppio rispetto ai 30 GW previsti per il 2030 dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC).

Ampliando lo sguardo al consumo complessivo di suolo, non legato quindi al solo FV, il rapporto ISPRA fa un bilancio tra nuovo consumo e aree rispristinate, calcolando un consumo di suolo netto pari a circa 48 km2 in assoluto, equivalenti a 1,6 metri quadrati per ogni ettaro di territorio italiano. Bisogna poi considerare che 3,7 km2 sono passati, nell’ultimo anno, da suolo consumato reversibile a suolo consumato permanente.

Secondo il rapporto, il consumo di suolo, il degrado del territorio e la perdita delle funzioni dei nostri ecosistemi continuano a un ritmo non sostenibile, mentre il rallentamento delle nuove coperture artificiali registrato negli anni passati, ascrivibile prevalentemente alla crisi economica, si è fermato.

In alcune aree del paese, si è consolidata, al contrario, un’inversione di tendenza a scapito del suolo naturale, a causa dell’assenza di interventi normativi efficaci o in attesa della loro attuazione e della definizione di un quadro di indirizzo omogeneo a livello nazionale.

Source: Qualenergia.it

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